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Data aggiornamento: 2009/06/22
Domanda concisa
Si può sperare di essere salvati dal castigo del Giorno della Resurrezione?
Domanda
L’essere umano può sperare di essere al sicuro dal castigo della tomba e del Giorno della Resurrezione?
Risposta concisa

Ciò che si deduce dagli insegnamenti religiosi è che la speranza nella misericordia divina e il timore per il castigo del Giorno della Resurrezione sono due caratteristiche importanti che si completano l’un l’altra e devono essere presenti in quantità simile nel credente. L’essere umano credente, con l’adempimento degli atti obbligatori e l’astensione da quelli vietati da Dio, deve sperare che la misericordia divina gli conceda una fine propizia e, nella stessa misura, deve temere il castigo di Dio, poiché la mancanza di paura del castigo divino incoraggia l’essere umano a commettere peccati mentre troppo timore gli toglie la speranza.

I versetti e gli hadìth hanno collocato la speranza nella misericordia del Signore accanto al timore per il castigo divino, e hanno presentato queste due realtà come due luci insite nell’animo umano e due ali per permettergli di volare verso la perfezione. Infatti la paura dell’Aldilà e la speranza nella misericordia divina invitano l’essere umano a obbedire e adorare Iddio e quindi gli permettono di salvarsi.

Risposta dettagliata

I sapienti di etica e gnosi come il nobile imam Khomeini (ra), basandosi sugli insegnamenti religiosi, considerano il timore e la speranza due caratteristiche umane che si completano sempre a vicenda. Ad esempio egli dice: «La speranza lodabile è quella in cui l’essere umano, dopo aver utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere la propria beatitudine, spera che Iddio l’Altissimo, attraverso i propri favori, gli procuri i mezzi di cui non dispone e rimuova gli ostacoli affinché raggiunga la beatitudine dell’Aldilà. In altre parole se qualcuno monda il terreno della propria anima dai rovi dell’etica corrotta e dai sassi dei peccati, e sparge in esso i semi degli atti probi, dell’obbedienza e della servitudine, annaffiandolo con l’acqua limpida della fede sincera, in seguito può sperare nel favore e nella misericordia divina affinché abbia una fine propizia e raggiunga la beatitudine: questo tipo di speranza è lodabile»[1]. Infatti il Corano indica questo concetto: «In verità, coloro che hanno creduto, sono emigrati e hanno combattuto sulla via di Allah, questi sperano nella misericordia di Allah. Allah è perdonatore, misericordioso»[2].

Iddio il Sublime in questo versetto riporta la speranza nella Propria misericordia dopo la fede, il jihad e lo sforzo sulla via di Dio; in altre parole l’essere umano credente deve prima sforzarsi di assolvere i precetti della religione e astenersi dai divieti, in seguito sperare anche nella misericordia divina.

Il timore è lodabile se l’essere umano comprende di essere assolutamente povero di fronte a Dio e di non possedere nulla di proprio; tutti gli esseri contingenti dipendono da Colui che è l’Unico Elargitore assoluto. L’essere umano deve dunque volere tutto ciò che desidera da Colui che è il Potere Assoluto e nelle cui mani è la fine di tutti, Egli è l’origine di tutti i beni[3].

Il Corano, infatti, testimonia anche questo concetto: «Di': “Tutto viene da Allah”»[4].

Il timore e la speranza devono essere presenti nel credente in egual misura, ossia l’essere umano deve temere Dio e il castigo della tomba e della resurrezione nel limite oltre il quale dispererebbe della misericordia divina. Allo stesso modo deve sperare nella misericordia divina senza che questo lo faccia cadere nella sfrontatezza. Gli hadìth degli Infallibili (A) affermano questo stesso concetto:

  1. L’imam Sadiq (A) disse: «Abbi talmente timore di Dio l’Altissimo che se dovessi offrire tutte le buone azioni dei jinn e degli esseri umani, ti potrebbe castigare; allo stesso modo spera talmente in Dio che se dovessi commettere tutti i peccati dei jinn e degli esseri umani, ti potrebbe perdonare»[5].
  1. L’imam Alì (A) disse: «La miglior azione è bilanciare il timore e la speranza, cioè creare equilibrio tra il proprio timore della punizione divina e la propria speranza nella misericordia divina. Abbiate timore di Dio nella giusta misura e sperate nella Sua misericordia e perdono sempre nella giusta quantità. Non abbiate talmente paura da disperare della misericordia, né sperate talmente tanto da diventare orgogliosi e negligenti»[6].
  2. L’imam Sadiq (A) disse: «Il timore (della punizione divina) vigila sull’animo (affinché non cada nella negligenza e nel peccato), mentre la speranza (nella misericordia di Dio) è un intermediario e un intercessore per l’essere umano (affinché non si disperi e non fugga da Dio). Chiunque conosce Iddio ha sia timore che speranza in Lui. Questi due (il timore e la speranza) sono due ali della fede; il  servo realista le dispiega verso il soddisfacimento divino e i suoi due occhi dell’intelletto attraverso di esse scrutano la promessa e l’avvertimento di Dio. Il timore è un chiaro segno della giustizia divina e previene la Sua punizione, mentre la speranza è un forte richiamo del favore e della misericordia divina. Il raja' (speranza nell’infinita misericordia divina) ravviva l’anima e il khawf (timore del castigo divino) uccide il Sé concupiscente (e i suoi desideri)»[7].

Dalle informazioni trattate si deduce che la speranza nella salvezza dal castigo della resurrezione, dopo aver compiuto gli atti obbligatori e l’astensione da quelli vietati, è una delle due ali della fede che servono per volare verso la perfezione assoluta e questa caratteristica (la speranza nella misericordia divina), accanto al timore del castigo divino, devono essere insiti nell’essere umano in egual misura. In altre parole l’essere umano deve sperare nella misericordia divina senza superare il limite oltre il quale cadrebbe nel peccato; allo stesso modo la luce del timore deve essere tale da non farlo disperare della misericordia divina.

 


[1] Imam Khomeini, Cehel Hadìth, p. 229, sedicesima ristampa, Mo'assese-ye tanzim va nashr-e asar-e emam Khomeini, Teheran, 1997.

[2] Sacro Corano, 2:218.

[3] Imam Khomeini, Cehel Hadìth, p. 222, sedicesima ristampa, Mo'assese-ye tanzim va nashr-e asar-e emam Khomeini, Teheran, 1997.

[4] Sacro Corano, 4:78.

[5] Kulayni, Usul al-Kafi, traduzione Mustafavi, vol. 3, p. 109, prima stampa, Ketabforushi-e 'elmyeh eslamyeh, Teheran.

[6] Ghurar al-Hikam, traduzione Ansari Qomi, vol. 1, p. 395, ottava rist., Teheran.

[7] Misbah al-Shari'ah, traduzione Mustafavi, p. 398, prima stampa, Anjoman-e eslami-e hekmat va falsafe-ye Iran, Teheran, 1981.

 

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